In questi  ultimi anni, il gioco da tavolo moderno ha costantemente cercato di evolversi e trasformarsi per abbracciare un pubblico sempre più vasto, esigente e alla continua ricerca di novità. Pensiamo alla contaminazione con il mondo dell’elettronica con applicazioni in grado di gestire agevolmente  la parte di calcolo e/o di setup del gioco sollevandone di fatto i giocatori e rendendo l’esperienza più immediata e “user-friendly”.

Ma quello di cui parleremo oggi è un tipo particolare di gioco che ha creato una vera e propria sotto categoria nel variegato mondo del boardgame: il Legacy.

Il gioco “usa e getta”

Una delle caratteristiche principali che deve avere un gioco da tavolo è la “rigiocabilità”, ovvero la capacità di proporre di volta in volta una sfida sempre diversa pur mantenendo inalterate le sue meccaniche di base. Un titolo  Legacy invece è l’esatto opposto: una volta fatte le partite previste dal suo ideatore e raggiunta  la sua naturale conclusione il gioco è letteralmente finito, impossibile da rigiocare, tanto da poter essere anche buttato! Vediamo di chiarire meglio il concetto.

Una partita “tira” l’altra

Nei giochi Legacy  tutto ciò che accade in una partita si ripercuote pesantemente sulle successive:  dovremo infatti strappare carte, attaccare adesivi sul tabellone e aprire scatole segrete che aggiungeranno componenti e regole. Tutto ciò andrà ad alterare permanentemente sia l’aspetto fisico iniziale del gioco, ma anche e soprattutto il suo gameplay che si arricchirà sempre di più.

Altro elemento caratterizzante è quindi la percezione, da parte di chi gioca,  di  un reale senso di progressione che trasformerà delle semplici  partite in una vera e propria esperienza, la cui conclusione sarà sempre diversa in base alle scelte fatte dai giocatori durante tutto l’arco narrativo.

Un Legacy… è per sempre

La “storia” infatti, in questo tipo di gioco assume un ruolo solitamente centrale. Generalmente si tratterà di una narrazione a bivi con sviluppi diversi seppur scriptati. I giocatori si sentiranno coinvolti sia nello scoprire i risvolti futuri della loro avventura, sia nel vedere crescere e svilupparsi il rispettivo alter ego, come succede ai  personaggi dei giochi di ruolo.  Ecco perché vi assicuro che, una volta finito, il gioco vi rimarrà dentro e difficilmente ve ne dimenticherete pur sapendo che non lo giocherete mai più.

Quasi sempre inoltre i Legacy hanno natura collaborativa o semi collaborativa e bisognerà giocare di squadra per non soccombere alle insidie del gioco. Proprio per questo motivo il consiglio è di iniziare e finire il gioco sempre con lo stesso gruppo di persone, in modo da accrescere la coesione e il senso di squadra.

L’uovo di… Daviau

Pandemic Legacy: collezione completa

Inventore di questo genere è stato Rob Daviau, papà del famosissimo “Pandemic”, che per primo applicò il concetto di serialità al classico Risiko proponendo appunto il Risk Legacy nel lontano 2011.

Daviau si chiese infatti cosa sarebbe successo ai protagonisti del gioco di guerra più famoso al mondo se questi avessero potuto continuare la propria avventura senza necessariamente resettarsi ad ogni partita.  Da li l’idea di creare una sorta di “campagna”, un avventura interattiva plasmabile dagli stessi giocatori con un inizio ed una fine.

Se oggi dovessi consigliarvi un Legacy  la scelta cadrebbe inevitabilmente su Pandemic, il gioco che ha reso famoso questo genere e forse il più bello. La Season 1 uscita nel 2015 ha poi avuto un sequel nel 2018 e addirittura un prequel nel 2020.

Con essa accompagneremo i nostri eroi in un avventura lunga 12 mesi (24 partite al massimo, con la possibilità di ripetere il mese in caso di primo fallimento) con lo scopo di sventare la minaccia biologica di un virus in grado di annientare il genere umano (purtroppo ne sappiamo qualcosa…).

Le 3 stagioni inoltre, anche se giocabili singolarmente e in qualsiasi ordine, si uniscono idealmente nel ricreare un affresco che va dal dopoguerra al 2090; insomma un must have!

Legacy e Lega-soft

Di titoli appartenenti a questo genere poi negli ultimi anni ne sono usciti parecchi e alcuni hanno a sua volta portato elementi di novità ulteriore. Mentre per esempio Gloomheaven e Seafall hanno riproposto (in tema fantasy il primo e navale il secondo) lo stesso concetto di gioco “one shot”, Jamey Stegmair con Charterstone ha voluto concedere alla sua creatura una “seconda vita”.

Gli elementi legacy permettono infatti di creare, durante la partita,  un villaggio unico e diverso con adesivi da attaccare, scatoline da aprire  e regole nuove che arricchiscono il gameplay gradualmente. Una volta terminata la storia però sarà possibile continuare a giocare il titolo così come è stato creato.

In pratica ogni gruppo forgerà la propria versione “definitiva” del gioco. Potremo però considerare l’esperimento riuscito a metà, in quanto, seppur presente, la parte narrativa e quindi la storia è un po’ troppo diluita e poco incisiva. In definitiva si tratta di un titolo di posizionamento lavoratori atipico.

Poco legacy, molto “wonder”

Wonder book

Per finire vorrei fare un accenno ad un titolo che ho avuto modo di provare poco tempo fa. Si tratta di Wonderbook di Martino Chiacchiera e Michele Piccolini. Il gioco si caratterizza per un fantastico libro pop-up che rappresenta il tabellone di gioco. Inutile dire che consiglio l’esperienza  a chiunque voglia aprirsi al mondo dei giochi da tavolo e abbia dei bambini: l’effetto wow è garantito.

Mi sento di inserirlo in questo contesto perché, pur non essendo un vero e proprio legacy (è totalmente rigiocabile, anzi la presenza di finali multipli invita a farlo) esso possiede  però una componente narrativa e un senso di progressione della storia e dei personaggi veramente notevole.

Inoltre gli autori con l’ingegnoso sistema pop-up hanno trovato il modo di modificare fisicamente l’area di gioco senza necessariamente ricorrere ai drastici e irreversibili espedienti tipici dei legacy: vedremo quindi cambiare e arricchirsi lo scenario di gioco ma al contempo avremo assicurata la ripristinabilità dello stesso e quindi la rigiocabilità del titolo.



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Adriano "Soki72" Lorenzin
Videogiocatore da sempre, cresciuto tra Atari, Commodore 16 e PSOne, la mia “sfortuna” è stata quella di incontrare gli amici della Tana dei Goblin che hanno risvegliato in me l’amore mai sopito per il boardgame. Da allora intavolo che è un piacere e tutte le settimane metto a repentaglio il mio equilibrio familiare riempiendo casa di famelici nerd scrocca dolci. Dopo l’esperienza editoriale vissuta qualche anno fa con la rivista Game Republic, PlayMoondo rappresenta la nuova sfida.