Anche nel mondo ludico, proporre una buona idea non è sufficiente per decretare il successo (anche commerciale) di un gioco da tavolo. Nel processo di creazione l’ottimizzazione a livello grafico e di gameplay è essenziale e può veramente fare la differenza.

Al di là dei gusti personali, non considerando cioè quello che piace ad ognuno di noi, un gioco da tavolo deve possedere determinati requisiti oggettivi affinché  risulti realmente fruibile e soprattutto divertente. Alcuni difetti infatti possono rovinare l’esperienza di gioco in maniera anche grave.

Questa volta metteremo in evidenza i principali “scivoloni” in cui si può cadere durante la fase realizzativa di un gioco da tavolo.

Il Setup del “giorno prima”

Il Setup è quella fase in cui il gioco viene preparato: le sue componenti vengono poste sul tavolo e sistemate in base alle indicazioni date dal regolamento. Questo porta via del tempo che deve essere considerato, insieme all’effettiva durata della partita, per poter organizzare al meglio la sessione di gioco.

Chi si approccia al classico “cinghialotto” ( giochi da tavolo la cui partita può tranquillamente sforare le 3 ore ) sa a cosa va incontro e quindi si predispone psicologicamente ad impegnare anche un intero pomeriggio o serata all’esperienza ludica. In questi casi l’inevitabile lunga fase di preparazione  a causa dei numerosi componenti è percepita come una cosa normale, anzi, diviene essa stessa parte del divertimento. Una sorta di rito preparatorio ludico (Twilight Imperium, Eclipse ).

Il problema sorge quando il rapporto tra preparazione e durata della partita diviene eccessivo.

Insondabili con il classico inserto della Fantasy Flight

Provate a chiedere ad un gamer qualsiasi di giocare a I Mercanti di Venere, quasi sicuramente la sua risposta sarà: “ ok, iniziamo a prepararlo oggi, forse per domani potremo iniziare…”. Questo perché, quello che il gioco restituisce a livello di esperienza, non è ben commisurato alla “fatica” e al tempo che occorre per la sua preparazione.

Nella maggior parte dei casi quindi, un setup troppo lungo tende a non rendere molto appetibile un titolo soprattutto se questo è poco più di un introduttivo o comunque un peso medio o leggero.

Il motivo principale che può portare a questo inconveniente è soprattutto la sovrabbondanza di componenti, diretta conseguenza di meccaniche ridondanti o gimmick. Altre volte a questo si aggiunge anche la pessima organizzazione all’interno della scatola.

L’inserto in cartone tipico dei prodotti Fantasy Flight, per esempio, oltre a non fornire nessun aiuto per organizzare i componenti, toglie anche spazio con il risultato di trovarsi decine di ziplock ammucchiate senza alcun criterio.

Fast plastic/digital setup

Di grande aiuto possono essere in questo caso gli inserti in plastica compartimentati sempre più presenti nelle ultime produzioni. Questi permettono di alloggiare e suddividere preventivamente i componenti facilitandone cosi la ricerca. Un ottimo esempio ce lo da Gloomhaven Jaws of the Lion con addirittura un vassoio estraibile per i vari token da posizionare direttamente sul tavolo. Oppure l’ottimo scomparto interno della Big Box di Shogun con tutti i componenti perfettamente alloggiati.

Shogun BigBox

Gloomhaven Jaws of the Lion in generale è l’esempio più eclatante di come ottimizzare un bellissimo gioco, (Gloomhaven), togliendo tutti i fronzoli e le complicazioni e conservandone al contempo l’eleganza e la capacità di divertire.

Negli ultimi anni sono state inoltre sviluppate delle applicazioni che aiutano i giocatori nella fase di setup suggerendo componenti e posizioni degli stessi sul tavolo di gioco. In Descent: Leggende delle tenebre  (l’ultima versione del classico dungeon crawler) questa permette di preparare uno scenario in pochissimo tempo, ed è fantastico!

Se volete approfondire l’argomento gioco da tavolo ed elettronica date un occhiata qui.

Cogito, ergo…nomia

Se è vero che ciò che conta alla fine è sempre la sostanza, è altrettanto vero che alcune scelte di game design possono rendere ingiocabile un titolo indipendentemente dalla sua validità. Il fattore “ergonomia” rappresenta un requisito essenziale.

Una delle cose più importanti (e difficili) è infatti riuscire a trovare il giusto compromesso tra grafica (artwork), componentistica e funzionalità in modo che l’occhio sia appagato e tutto funzioni senza problemi.

Arte (poco) ludica

Tabellone e plance di gioco devono per prima cosa essere facilmente “leggibili”: i giocatori non dovranno avere difficoltà ad individuare gli strumenti e le informazioni necessarie per poter giocare. Occorre quindi bilanciare:

La psichedelica plancia de I Raja del Gange
  1. Presenza di grafica accessoria: a volte snellire e togliere qualche “orpello” può solo giovare all’immediatezza del titolo. In Raja del Gange il tabellone centrale è talmente “ricco” di elementi grafici e colori che non si distinguono le caselle delle azioni disponibili.
  2. Spinta artistica: l’Art Director dovrebbe avere bene a mente che non si sta dipingendo un quadro ma creando un gioco da tavolo. In Siena del nostro Mario Papini l’aspetto artistico pregiudica quasi totalmente la giocabilità del titolo. Il tabellone e le carte sono così belle da sembrare delle piccole opere d’arte a discapito però della loro funzionalità: non vi è traccia del percorso per le pedine e mancano totalmente descrizioni o simboli che rammentino abilità e poteri di ogni cosa. Tutto è sacrificato in nome dell’aspetto estetico ed artistico.
  3. Uso dei colori e del font di scrittura: I toni usati non dovrebbero creare confusione o complicazioni di gameplay. Non è obbligatorio infatti, finire la partita con il mal di testa. Provate a distinguere gli edifici presenti in Carpe Diem di Stefan Feld: le prime partite maledirete più volte il game designer tedesco e la sua scellerata monocromia. Anche la scelta del font utilizzato e la sua grandezza possono creare problemi. Le descrizioni sulle carte di Era of Kingdoms oltre ad essere minuscole “godono” di un colore di fondo marrone che “ben si sposa” con il nero del carattere.
  4. Simboli ed iconografia: Mentre negli American l’uso di testo sulle carte o sul tabellone serve a creare anche il giusto flavour oltre a descrivere con più precisione le varie opzioni di gioco, nei giochi German l’uso di simboli e icone assume un ruolo importantissimo. Con uno sguardo il giocatore deve poter avere tutte le informazioni necessarie per scegliere e capire cosa fare. In Troyes, capolavoro del trio Sébastien Dujardin, Xavier Georges e Alain Orban le icone utilizzate sulle carte non sono chiarissime e soprattutto nelle prime partite si dovrà ricorrere spesso alle faq on line per capirne gli effetti.
  5. Dimensione dei componenti: le varie “parti” del gioco, infine, devono poter interagire funzionalmente l’una con l’altra. Nell’ultima edizione di Kemet Sabbia e Sangue la critica maggiore è stata sollevata nei confronti del tabellone, effettivamente troppo piccolo per poter accogliere agevolmente le numerose miniature una volta reclutate in gioco.

Aspettando il proprio turno

Abbandoniamo l’analisi dell’aspetto puramente estetico di una produzione per focalizzarci su quei difetti di gameplay che possono condannare all’oblio un gioco da tavolo. Una delle caratteristiche principali dovrebbe essere la fluidità e quindi l’eleganza del turno di gioco. Dover aspettare molto tempo prima di poter rigiocare è una cosa che non piace a nessuno.

Solitamente il turno di gioco è suddiviso in fasi. Quando queste si svolgono in contemporanea il downtime (cioè il tempo di attesa) è azzerato. Pensiamo a 7 Wonders dove la scelta della carta è simultanea e la partita scorre via velocissima. Se queste sono invece separate per ogni giocatore occorre distinguere due situazioni:

  • Distribuzione “orizzontale” delle fasi: prima di passare alla successiva tutti i giocatori, in ordine di turno, svolgono la fase attuale. In questo caso la lunghezza del turno, intesa come numero di fasi di cui si compone, è irrilevante. In Smartphone Inc per esempio il round si divide in 8 fasi ma il turno è veloce e il tutto funziona senza intoppi.
  • Distribuzione “verticale” delle fasi: il giocatore svolge per intero tutte le fasi del turno prima di passare la mano. In questo caso una struttura lunga e articolata dello stesso può rallentare moltissimo lo scorrere della partita e rendere frustrante l’attesa. In Oath, oltre alla oggettiva difficoltà di capire e decidere quale è la mossa migliore, la possibilità di svolgere molte azioni ad ogni turno in base ai punti a disposizione rende il gioco poco fluido e macchinoso.

Ottimizzare questo aspetto quindi è essenziale per mantenere viva l’attenzione e la concentrazione dei giocatori: vedere persone che si alzano durante la partita in attesa che tocchi di nuovo a loro rompe tutta la magia che si crea al tavolo.

Dalla forma alla sostanza: l’importanza del playtesting.

Sgrezzare un diamante ha un senso, ma se si tratta di un comune sasso allora stiamo perdendo solo tempo. Tutto il lavoro di pulizia estetica e funzionale risulterà inutile se il gioco non è completo o semplicemente non è un meccanismo perfetto.

Per questo motivo diviene essenziale la fase di playtesting. Il gioco viene provato e riprovato, da più persone possibili, allo scopo di evitare problemi di regolamento e/o bilanciamento facendo tesoro dell’esperienza e dei feedback dei tester.

Regolamento

Un buon regolamento deve fugare ogni dubbio e codificare ogni possibile casistica ( o per lo meno quelle più frequenti). Purtroppo in molte delle produzioni attuali gli obblighi contrattuali e commerciali spingono gli autori a far uscire giochi non sufficientemente testati che abbisognano di successive f.a.q. (frequently asked questions) o addirittura di vere e proprie revisioni del regolamento ( le cosiddette versioni 2.0, 3.0 ecc). Trovarsi a comprare a prezzo pieno un giocattolo “rotto” è molto fastidioso. Anche se poi ti mandano “i pezzi” in sostituzione la sensazione è quella della “fregatura” e il gioco finisce poi per intasare i mercatini dell’usato.

La mia brutta esperienza in merito prende il nome di Exploration. Bella la componentistica, bella l’idea del viaggio spaziale ma totalmente ingiocabile. Regolamento frammentario e incompleto, situazioni dubbie e un autore, Damian Korus non in grado di fornire adeguato supporto ai giocatori. Un vero peccato.

Bilanciamento

Root

Un ultimo aspetto da considerare è il bilanciamento. Il gioco deve concedere a tutti i giocatori le stesse opportunità di vittoria indipendentemente dal modo in cui partono. Non ci dovranno essere cioè personaggi più forti di altri o strade più brevi per vincere (strategie dominanti).

In The Witcher il gioco d’avventura, il boardgame che ha come protagonista il celebre “strigo”, il giocatore che lo impersona godrà sempre di una superiorità schiacciante rispetto a tutti gli altri personaggi disponibili. Di fatti, pur avendo alle spalle un brand così importante il titolo è caduto quasi subito nel dimenticatoio, marchiato da questo difetto.

Nel celebre titolo di Martin Wallace Pochi acri di neve, invece, la scoperta di una strategia dominante, denominata poi Martello di Halifax, ha portato addirittura l’autore ad ammettere il bug e a porre rimedio attraverso l’eliminazione di una carta del mazzo della fazione francese. Per saperne di più vi lascio il link di un articolo di Agzaroth della Tana dei Goblin che approfondisce la questione.

Ottimo esempio di bilanciamento invece lo fornisce Root, il capolavoro di Cole Wehrle. Le 4 razze protagoniste giocano ognuna alla propria maniera, con regole proprie e condizioni di vittoria uniche. Di fatto ci troviamo di fronte a 4 regolamenti separati amalgamati da una manciata di regole base comuni a tutti (movimento e combattimento). Ma il lavoro di “assemblamento” del pacchetto è stato fatto così bene che le partite si decidono tutte all’ultimo momento in un perfetto equilibrio.



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Adriano "Soki72" Lorenzin
Videogiocatore da sempre, cresciuto tra Atari, Commodore 16 e PSOne, la mia “sfortuna” è stata quella di incontrare gli amici della Tana dei Goblin che hanno risvegliato in me l’amore mai sopito per il boardgame. Da allora intavolo che è un piacere e tutte le settimane metto a repentaglio il mio equilibrio familiare riempiendo casa di famelici nerd scrocca dolci. Dopo l’esperienza editoriale vissuta qualche anno fa con la rivista Game Republic, PlayMoondo rappresenta la nuova sfida.